Rispetto agli eventi positivi di settimana scorsa – con la BCE finalmente più baldanzosa nel condividere con il mercato una strategia di politica monetaria sullo stile dei “bazooka” americani – rimango perlpesso nel leggere invece sui quotidiani odierni che BNP Paribas inizierà a finanziare la propria sussidiaria italiana (BNL) facendole emettere direttamente obbligazioni sul mercato, rispetto a trasferire risorse liquide cross-border. È un segno lampante che la “balcanizzazione” del sistema bancario europeo è ancora in atto, con conseguenze fatali sulla capacità degli istituti finanziari nazionali di reperire (e quindi fornire) liquidità preziosa alle imprese.
Di questo processo ne avevamo lungamente parlato nella prima parte dell’anno: i flussi di capitali infra-Unione Monetaria Europea hanno ormai preso la direzione opposta rispetto a quanto era accaduto nei primi anni di vita della moneta unica. Le banche commerciali che si erano avventurate al di là dei propri confini – di volta in volta sfruttando cheap funding o trovando impieghi più redditizi – stanno ora tirando i remi in barca, con palese effetto strozzatura sulle risorse liquide che possono essere messe a disposizione del sistema produttivo.
Di fronte a questo fenomeno, “piace” la forzatura di Draghi rispetto al componente teutonico del Governing Council: Weidmann – quasi isolato all’interno della BCE – è invece l’acclamato alfiere di una narrativa politica nazionale che pare sia totalmente sfuggita di mano alla Merkel, tanto da far pensare che la stessa Corte Costituzionale tedesca possa sorprendere nella sua prossima decisione sul fondo “salva-stati”. Se infatti è imbarazzante leggere, tramite la BuBa, del dissenso di Weidmann rispetto all’ultima decisione della BCE, dall’altro preoccupa la mancata compresione in Germania di quale posta sia in gioco in questa delicatissima fase di aggiustamento del framework istituzionale europeo.
Non è una provocazione, ma già in altre occasioni avevamo parlato della mancanza di una forza “egemone” che potesse accendere un faro per l’intero continente e condurre al di fuori della crisi un’Unione ormai sfibrata socialmente, economicamente e politicamente. La Germania, che più di una volta nel secolo scorso aveva tentato di conquistare con la forza bruta tale ruolo egemonico, adesso sembra comportarsi come la Francia dei primi anni ’30, quando – similmente a oggi – si trattò lungamente (e senza successo) per il salvataggio del Creditanstalt, la banca austriaca che con il proprio fallimento portò tutto il sistema finanziario mondiale al collasso, innescando a quel punto la Grande Depressione.
Oggi, rispetto ad allora, abbiamo la fortuna di poter osservare una BCE più creativa e meno imbalsamata nel rigorismo dei mandarini di Francoforte. Basterà questo per limitare i danni dell’incipiente balcanizzazione del sistema bancario europeo?