C’è una crepa in ogni cosa…

C’è una canzone di Leonard Cohen che contiene due versi a proposito dell’idea di perfezione: “there is a crack, a crack in everything. That’s how the light gets in”. Ovvero, c’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce. In realtà la poesia Anthem di Cohen parla dell’accettazione in senso lato, della comprensione che l’imperfezione è un tratto caratteristico della condizione umana. E che forse non è necessario avere l’ansia di sistemare tutte le cose che non funzionano, a ogni costo. Ergo, non bisogna spaventarsi se si scoprono delle spaccature: perché è da lì che si insinuano nuove idee, nuove proposte. Nuove luminose progettualità.

Con questa visione – forse pragmaticamente romantica, o romanticamente pragmatica – ci accingiamo ad affrontare uno dei periodi più bui dell’epopea chiamata “Unione Europea”. Monti ha fatto bene a utilizzare una terminologia bellica per descrivere quello che ci attende ad agosto: non è persona da sprecare metafore o allusioni, e credo ponderi meglio dei suoi colleghi tedeschi ogni espressione che condivide in pubblico. E lo spread oltre i 530 punti base invoca battaglia. Ed è una battaglia diversa da quella che potrebbe invocare la Spagna, dove il differenziale con il Bund (a quota 627bps) racchiude al suo interno ben altri problemi strutturali. La nostra è un’economia diversificata, con una ricchezza diffusa e radicata, mentre quella iberica è stata per molti anni drogata da cheap lending e da speculazione immobiliare. È ingiusto paragonare le due realtà.

Ma la guerra dei due mondi – il core austero e noioso contro la periferia esuberante e indisciplinata – non deve portare alla riparazione grossolana delle crepe, al tentativo ingenuo di sistemare con un po’ di stucco le falle d’umido che sporcano le pareti del palazzo “d’Europa”. La guerra ha una funzione tremendamente egualitaria, perché come la pestilenza manzoniana non concede scampo, e conduce a un reset forzato, a una purga delle idee e delle volontà. E non stanno chiamando alle armi coloro che dicono che la Grecia dovrebbe essere immediatamente abbandonata a se stessa, conducendo inevitabilmente Atene a un’uscita obbligata dall’area euro: costoro sono semplicemente sciocchi, ignari del fatto che – specialmente oggi – un’eventualità del genere porterebbe a un avvitamento entropico di Spagna e di Italia nel giro di poche sedute.

No, coloro che chiamano alla guerra sono quei leader che non sono ancora riusciti a spiegare una verità sulla crisi, che non hanno avuto ancora il coraggio di comunicare una visione, che non sono stati in grado di fare quel salto d’immaginazione che potrebbe dare finalmente un senso ai tanti sacrifici che in (quasi) ogni dove i cittadini europei stanno sostenendo. Ed è vana consolazione sapere che una Banca Centrale Europea – seppur abitata da molti mandarini tedeschi – sia pronta a entrare in campo per compensare l’inettitudine dei nostri cari leader. Poco importa che, con il mark-to-market delle perdite degli ultimi due anni si sia distrutta scioccamente buona parte della ricchezza comunitaria. Il reset, di riffa o di raffa, politico o tecnocratico, palese o velato, sarà inevitabile.

Ciò che importa è anche rendersi conto che le crepe faranno entrare una nuova luce. Ed è bene che qualcuno – questa luce – sappia interpretarla consapevole delle imperfezioni che pur sempre rimarranno all’interno di questo Vecchio Continente. Altrimenti, la cronaca dei crolli delle borse globali non sarà altro che un esercizio di allitterazione numerica, di cui presto avremo grande noia: -5%, -1%, -3%, – 2%…

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