Qui a Singapore giungono eco lontane dalle capitali d’Europa, ma tutti sono consapevoli che l’epicentro di futuri tremori è a Francoforte, la città che domani ascolterà per prima la voce di Mario Draghi, il Presidente di una BCE ormai sempre meno tedesca e, soprattutto, assai più creativa di quanto i padri fondatori dell’Unione Monetaria Europea potessero allora immaginare.
Quella che ci siamo abituati a conoscere è una BCE sempre meno “BuBa”, dove è possibile pensare a un membro tedesco del Governing Council messo in minoranza rispetto alle decisioni cruciali che l’istituto dovrà comunicare nella giornata di domani. Più volte avevamo ragionato sul “patto” che Köhl e Mitterand fecero a suo tempo, con il relativo prepensionamento del marco tedesco e l’istituzione di regole precise che avrebbero obbligato tutti i paesi membri dell’area euro ad adottare politiche fiscali ed economiche più “germaniche”. E in altrettante occasioni abbiamo rilevato come l’unica soluzione-tampone alla crisi attuale politicamente accettabile – o, per meglio dire, la meno dannosa – fosse una parziale monetizzazione del debito pubblico di alcuni paesi periferici, condizionale ovviamente all’adozione di un programma di “recupero” (come è avvenuto per Portogallo e Irlanda) e implementata con “briglie strette”, così da mantenere un controllo efficace sull’andamento dell’inflazione in un contesto di evidente “money-printing”.
Stampare moneta non assicura mai un futuro più prospero. E come scelta di politica monetaria racchiude al suo interno anche numerosi rischi. Ma, tra i tanti mali che ci affliggono, è il meno grave: ci permette, infatti, di guadagnare tempo e, soprattutto, di mantenere una parvenza di “solvibilità” utile a rallentare il fenomeno di deleveraging che da ormai 3-4 anni ha colpito le nostre economie sviluppate. Se il “money-printing” non è una panacea, nemmeno è possibile considerare un toccasana l’impianto di riforme sul lato dell’offerta che ormai è alla base delle politiche degli ultimi 12-18 mesi di storia economica europea. E se inflazione e default non sono soluzioni ottimali, allora non ci rimane che aumentare il ritmo di crescita, il quale, a sua volta, sarà determinato dall’incremento di produttività di alcuni fattori – in primis, il fattore “lavoro” (ma in questo ambito mancano idee brillanti…).
Agosto è stato un mese benigno per le asset class più rischiose: man mano che ci avviciniamo ad alcune date chiave (la review della Troika ad Atene, la decisione della Corte Costituzionale tedesca sul Fiscal Compacte e sull’ESM, le elezioni in Olanda e la fine della revisione bottom-up del settore bancario spagnolo), ritorna a essere importante la narrativa politica che il mercato ascolterà nelle capitali europee.
Ad esempio (e, non a caso, nel contesto di BuBa e BCE) riuscirà la Merkel ad assicurarsi un po’ di quieto vivere per il prossimo anno, prima delle elezioni in Germania? Le parole di Draghi formeranno domani parte della risposta.