Un paracadute per l’euro

I mercati continuano ad avere cariche emotive piuttosto forti: l’apertura odierna è stata al rialzo e, as of writing, tutti i listini azionari sono puntati verso l’alto. L’Italia è la migliore piazza (+2.8%), seguita dalla Spagna (+2.7%), mentre in coda c’è la Svizzera (+0.6%) e tutto il comparto statunitense, percepito maggiormente difensivo. Sul fronte obbligazionario abbiamo assistito nuovamente a un restringimento dello spread sui Bonos di Madrid (-10bps), anche se altrettanto non si può dire per il BTP: pur rimanendo sotto il 6% e benché l’asta odierna sia stata ben recepita dal mercato in termini di rendimenti (sotto controllo), i principali operatori restano ancora scettici sul forte movimento causato da Draghi la settimana scorsa. C’è qualcuno che non si fida ancora delle serie intenzioni del “cavaliere bianco”.

Sul fronte dell’economia reale, infatti, a causa della limitata visibilità, le imprese stanno tuttora trattenendo qualsiasi investimento e limitano anche la domanda di fondi al settore finanziario: il paradosso ora è che le risorse sono disponibili ma non vengono richieste. E per la prima volta in quasi dieci anni, alcuni indicatori anticipatori per la coppia franco-tedesca sono scesi al di sotto della media del resto dell’area euro: questo significa che il rallentamento macro – che oserei chiamare recessione – sta andando a impattare fortemente anche due dei motori più importanti del continente. E questa debolezza non è solo legata a un calo nella fiducia rispetto alla sostenibilità della stessa moneta unica, ma riflette anche un altrettanto significativo calo della domanda finale. Nel 2009, il recupero nel ciclo economico era stato guidato soprattutto da un rimbalzo nel cosiddetto inventory cycle: la produzione nel 2008 era calata al di sotto dei relativi livelli di domanda, e l’intervento dei policymaker ha di fatto fornito un paracadute a chi, allora, mosso dal panico, si stava buttando da un aereo in fiamme a 4’500 metri di altezza. Ora il calo della produzione è stato accompagnato da un ritracciamento della domanda, la quale è assai più difficile da ravvivare. Il rischio che gli operatori vedono è quindi legato al fatto che la ripresa – salvo sorprese dell’ultimo minuto – se ci sarà (e i semi vanno gettati ora), sarà lenta…molto lenta…ci impiegherà un trimestre? Due? Dieci mesi?

Abbiamo già parlato gli scorsi giorni dell’intervento di Mario Draghi, ma credo sia importante rimarcare un aspetto significativo della sua linea di pensiero: la sostenibilità delle finanze pubbliche e il relativo rischio “controparte” sono in mano agli Stati e ai rispettivi governi in carica, mentre alla Banca Centrale Europea spetta il compito di gestire le tematiche di stabilità finanziaria legate alla moneta unica. Ad esempio, se vi fosse un rischio di “ridenominazione” percepito dal mercato in modo errato – a parere del Governing Council della BCE – la banca centrale avrebbe pieno mandato a intervenire per ristabilire un pricing più in linea con le sue aspettative. Chiamatela “Draghi’s put” o “paracadute per l’euro”, la politica monetaria potrebbe ritornare a essere nuovamente protagonista nel corso di questa settimana, ad esempio ponendo per i tassi nella periferia un target di rendimento attorno al quale si possa ricostruire la fiducia.

Ma dato che gli operatori rimangono ancora piuttosto scettici, Draghi ha bisogno di gettare il cuore oltre l’ostacolo, dimostrare un committment per l’euro che vada oltre i proclami, e rassicuri chi ancora non se la sente di impegnarsi in un nuovo ciclo d’investimenti e di acquisti. Questa è l’ultima settimana a disposizione: bisogna giocarsi il tutto per tutto per convincere i mercati, e giovedì sarà l’ultimo giorno per farlo.

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